A cinquant’anni dalla strage di stato e dell’assassinio di Giuseppe Pinelli, l’Associazione Culturale “Pietro Gori” di Milano, proseguendo nel suo progetto costitutivo, valorizza e divulga un altro tassello di quella parte di storia che fa dell’autorganizzazione e dell’autogestione – politica, economica, culturale – l’elemento fondamentale per l’emancipazione sociale. Dopo avere aperto il cinquantennale di quella tragedia sociale, politica e umana con la pubblicazione della documentazione relativa alla ripresa dell’Unione Sindacale Italiana a Milano nell’anno 1969, con Pinelli in prima fila in tale impegno, lo chiude con la presente pubblicazione che ripropone, a stampa, la testimonianza documentale di un altro momento cruciale emerso in quel fatidico frangente storico: il sostegno fisico e morale alle vittime della repressione e la denuncia dell’accanimento di questure, prefetture e procure contro gli anarchici fin dalle prime bombe esplose il 25 aprile alla Fiera di Milano.
Riproporre oggi questo raro materiale, ormai d’archivio, oltre a rimettere in circolo dati e documenti di notevole utilità storica, evidenzia, ancor più lo spessore politico ed etico di Giuseppe Pinelli. Una dimensione mentale e culturale, la sua, che fa comprendere esattamente, al di là dell’immane quantità di scritture giudiziarie e della messe bibliografica che hanno riempito d’inchiostro un’ampia casella di quest’ultimo mezzo secolo, la reale motivazione del suo assassinio: se rilasciato, Pinelli, che aveva afferrato il senso di cosa stesse accadendo realmente nel paese, avrebbe fatto crollare subito la trama ordita dall’Ufficio affari riservati del Viminale, denunciando l’affaire e divulgandone la dinamica, rendendo pubbliche le presenze (la “squadra 54” del SID), le richieste e le minacce a cui era stato sottoposto per tre lunghi giorni (e notti) in quella maledetta stanza al quarto piano della questura di Milano. La stessa dinamica che avrebbe potuto divulgare, in un’improbabile ma possibile crisi di coscienza post processuale, il commissario Luigi Calabresi, misteriosamente zittito anch’egli, appena due anni e mezzo dopo Pinelli.
Con questo piccolo contributo, l’Associazione Culturale “Pietro Gori” di Milano, s’impegna, e invita tutti i sinceri amanti della libertà e della dignità propria e altrui, a continuare le battaglie che sono state anche quelle di Giuseppe Pinelli, tese all’emancipazione dei lavoratori e della società tutta, alla solidarietà, all’auto cura della socialità Vs i virus autoritari e gerarchici che l’infettano, alla liberazione dallo stato di sfruttamento da parte di esseri umani – forti per legge, denaro o posizione – su esseri umani indeboliti e intimoriti dal ricatto, dal bisogno o dalla violenza, sempre pronta a colpire i dissidenti attivi.
Va evidenziato, tuttavia, che l’anno in corso, distante ben mezzo secolo da quei tragici fatti, si rivela come particolarmente importante nella storia del movimento d’emancipazione sociale in Italia, nella semplice constatazione che la memoria collettiva di quella tragedia – innescata da funzionari di uno Stato cospiratore che intendeva trasformarsi tout court in Stato totalitario e di polizia – rivelatasi uno degli spartiacque più decisivi nelle relazioni politiche tra società reale e istituzioni del secondo dopoguerra, è ancora ben viva e promette di rinvigorire le numerose e varie iniziative che non soltanto invitano a “non dimenticare”, ma mirano, alcune, a “costruire movimento” soprattutto a fronte dei rigurgiti neo autoritari che riemergono a macchia d’olio dal fetido humus che ha nutrito e continua a nutrire certa feccia sociale, politica ed economica, dentro e fuori dal parlamento, dentro e fuori le istituzioni. Ieri come oggi.
Funzionalmente all’oggi e al suo divenire sociale, va perciò doverosamente ricordato che fin da subito la strage fu definita dagli anarchici una “Strage di Stato” perché il movente era palmare: la volontà di fermare le lotte sociali, in continua e incontrollata ascesa, degli operai, degli studenti e dei ceti popolari nei quartieri, per il diritto alla vita, contro i meccanismi di sfruttamento e le gerarchie di comando, fino a mettere in discussione gli stessi detentori del potere economico e politico. Lo Stato, non potendo permettere che tali privilegi, di cui è estremo difensore, fossero pesantemente messi in pericolo, reagì con tutta la sua durezza, fuori dalle sue stesse regole, con il ricorso alla strategia delle stragi.
Come fu poi ampiamente dimostrato, utilizzò la manovalanza fascista e ne organizzò la copertura con sistematici depistaggi operati dai suoi apparati di sicurezza. Con inchieste e indagini pilotate fece sì che anarchici come Valpreda e compagni fossero sbattuti in galera con false accuse e messi alla gogna come dei mostri, in prima pagina sui media nazionali, scritti o teletrasmessi, onde suscitare indignazione e consenso.
Va ribadito con decisione che vittima designata di quest’ondata repressiva fu Giuseppe Pinelli, defenestrato dai locali della questura di Milano nella notte del 15 dicembre 1969: anarchico attivo e lavoratore ferroviere, era fortemente impegnato nelle lotte sociali del tempo, nella ricostruzione della sezione milanese dell’Unione Sindacale Italiana, in zona Bovisa, nelle relazioni di solidarietà e sostegno ai compagni vittime di repressione. La figura di Pinelli rappresentava e incarnava, esattamente e degnamente, tutto ciò che si voleva fermare con la Strage di Stato: quelle lotte ormai troppo avanzate che partiti e sindacati funzionali al sistema non erano più in grado di trattenere e governare.
Non va dimenticato, infine, che in tutti questi anni, lo Stato è riuscito a dare copertura ai suoi servitori e i colpevoli della Strage sono rimasti impuniti. Ma il più importante obiettivo raggiunto da Stato e classi padronali è stata la spoliazione lenta e continua delle principali conquiste emerse dalle lotte di quel periodo, complici i partiti politici e i sindacati confederali (Cgil, Cisl, Uil). Un processo durato fino ai giorni nostri il cui ultimo atto è stato la trasformazione in legge del decreto sicurezza bis, che garantisce sicurezza solo ai padroni e ai governanti.
Ciò che non sono riusciti a cancellare, grazie alla decisa e continua azione di controinformazione e denuncia, è la memoria storica di quanto è realmente accaduto in quel periodo, nonostante il tentativo di chiudere la vicenda della morte di Giuseppe Pinelli adducendola, sibillinamente e rocambolescamente, a un “malore attivo”, come riportato nella sentenza D’Ambrosio, frutto del “compromesso storico”.
In questa ricorrenza del cinquantenario quella incancellabile verità storica sarà ancora una volta, e più che mai ribadita dalle tante iniziative e mobilitazioni sorte per ricordare che: La Strage è di Stato, Valpreda è innocente, Pinelli è stato assassinato.
Associazione Culturale “Pietro Gori”, Milano